Sottolineature – Quali soldi fanno le felicità

Perché pensiamo che il nostro valore equivalga al nostro stipendio? Perché rimuginiamo tutto il tempo se vediamo che Tizio ha avuto la macchina aziendale o se Caio si può permettere due viaggi l’anno? Perché, in definitiva, lasciamo che i soldi definiscano la nostra identità e il nostro posto nel mondo?

Non è solo frustrazione per meriti non riconosciuti, o invidia per oggetti o esperienze che desideriamo ma non possiamo ottenere. La ragione può essere più profonda e, se non ancestrale, quantomeno legata alla nostra storia familiare.

Lo dice Annalisa Monfreda, che ha scritto un libro bellissimo e, come si dice in certi casi, importante. Nel suo “Quali soldi fanno la felicità” (Feltrinelli) risponde a tutta una serie di domande audaci che, a dispetto del sottotitolo, non riguardano solo le donne.

In primis, si chiede da dove arrivi il tabù dei soldi, da dove arrivi la vergogna di parlarne, la fatica di negoziare, la violenza intrinseca di quasi tutte le interazioni che li vede protagonisti, e la loro sparizione dalle nostre conversazioni.

La storia familiare è letteralmente l’origine del nostro ‘stile monetario’ :

“Senza rendercene conto, il modo in cui pensiamo, ci comportiamo e ci relazioniamo con il denaro spesso non ha nulla a che fare con ciò che guadagniamo e con la nostra situazione attuale,” scrive Alex Holder.45

“È come se tutti gli studi e le esperienze del mondo non bastassero a far evolvere la nostra relazione con i soldi”.

Neppure quando lavoriamo riusciamo ad affrancarci, con paradossi di ogni tipo: se è così importante “quanto ci pagano”, perché sul lavoro non si parla mai di soldi?

“Siamo imbevuti di una cultura che ci porta a monetizzare il nostro valore e a dirci che valiamo quanto veniamo pagati. In questa cultura, uno stipendio basso è uno dei tanti modi per tenere sotto scacco l’autostima delle persone.”

“Eppure per togliete importanza ai soldi basterebbe parlarne più liberamente: “Ogniqualvolta ci sembra che stiamo mettendo i soldi al centro della conversazione, in realtà stiamo togliendo loro potere, stiamo limitando lo spazio che hanno di determinare la nostra autostima.”

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