Sottolineature – Lezioni di felicità (ma anche di scienza e di matematica)

Torna dopo qualche tempo la rubrica “Sottolineature”, dove riprendo e commento dei brani dai testi che più mi hanno intrigato nell’ultimo periodo.

Se torna con un qualche ritardo è perché gennaio e febbraio sono stata letteralmente rapita da due letture dello stesso autore, Benjamin Labatut. La prima è stata Maniac, sulla storia del gruppo di scienziati che costruì la bomba atomica e una appendice su Alpha go, in realtà un favoloso excursus sulla fascinazione che si può avere per l’intelligenza. Mi è piaciuto immensamente.

Mi ha convinto meno, ma rimane comunque un’opera pazzesca, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, un viaggio fra le scoperte scientifiche e le teorie matematiche della prima parte del novecento, con punte di lirismo veramente inattese.

Dopo questa parentesi, ricominciamo a scrivere di libri che parlano di lavoro… anche se fino a un certo punto. Lezioni sulla Felicità pubblicate da Mondadori sono un sunto della ricerca compiuta da Robert Waldinger e Marc Schulz. Docenti entrambi di Harvard, si sono posti l’obiettivo di capire cosa rende felici le persone in quello che è uno degli studi longitudinali più longevi della storia, iniziato addirittura nel 1938.

E in un capitolo, quello che in parte riporteremo qui, riassumono i loro pensieri rispetto alla felicità al lavoro.

Come mi capita spesso ultimamente, le sottolineature più interessanti per me riguardano lo sconfinamento costante fra vita e lavoro, ma anche le amicizie sul luogo di lavoro e la loro relazione con la produttività sono un altro spunto notevole.

Buona lettura!

È normale pensare che la nostra vita lavorativa e la nostra vita reale siano indipendenti. Molti di noi sentono che i due mondi si trovano in due sfere di esperienza completamente separate. Lavoriamo per vivere. Anche chi è abbastanza fortunato da avere un lavoro che ama spesso pensa le due sfere come autonome, e pertanto fatica a trovare un equilibrio tra vita e lavoro.

Ci sfugge qualcosa? La separazione che percepiamo tra questi due mondi ci aiuta o ci ostacola nel nostro tentativo di vivere bene? E se il valore del lavoro – anche di un lavoro che non ci piace – non consistesse solo nello stipendio, ma anche nella sensazione costante di essere vivi anche sul posto di lavoro, e nella vitalità che si prova nel creare legami con altre persone?

anche quando pensiamo di confinare il lavoro nel luogo in cui esso si svolge, continuiamo a portarci dietro le nostre emozioni, anche se non sempre siamo in grado di rendercene conto. Rispondere in maniera brusca a una domanda innocente, isolarsi davanti alla televisione o al computer, parlare dei problemi del proprio partner meno di quanto dovremmo: saremmo sorpresi nel vedere fino a che punto le emozioni che portiamo con noi dal lavoro possono influenzare la nostra vita domestica.

Gallup, un’azienda che si occupa di sondaggi, ne ha condotto uno lungo trent’anni sul livello di coinvolgimento percepito sul luogo di lavoro, e una delle domande che ha suscitato più controversie è stata: Hai un migliore amico al lavoro?

Alcuni manager e impiegati trovano la domanda irrilevante o assurda, e in alcuni luoghi di lavoro il fatto di avere delle amicizie strette viene visto con sospetto. Se gli impiegati chiacchierano tra loro e sembrano divertirsi, alcuni pensano che non stiano lavorando seriamente e che quindi la produttività ne risenta.

In realtà, è vero il contrario. Lo studio ha mostrato che le persone che hanno un migliore amico al lavoro si impegnano maggiormente di quelli che non ce l’hanno.”

La nostra vita non resta ad aspettarci sulla porta di casa, quando noi andiamo a lavorare. Non rimane sul ciglio della strada quando saliamo sul nostro camion. Non si limita a sbirciare da fuori la prima volta che entriamo nella nostra nuova classe. Ogni giorno al lavoro è un ‘importante esperienza personale, e nella misura in cui arricchisce la nostra vita relazionale possiamo trarne un grande beneficio. Anche il lavoro è vita.

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