Sottolineature – Il lavoro nel XXI secolo

Questa è l’estate del recupero delle letture, e questa è anche l’ultima puntata della rubrica Sottolineature prima delle vacanze.

È il 2018 quando Domenico De Masi scrive questa opera monumentale – 750 pagine scritte in piccolo piccolo, note escluse – ripercorrendo la storia, le teorie e le diverse interpretazioni che si possono attribuire alla parola “lavoro”.

Stante la voluminosità, ero restia a prenderlo in mano, e da qualche mese mi guardava dallo scaffale apposito dei “da leggere”. In realtà, si è rivelato un testo super godibile, nella sua maestosità, perché fatto di numerosi capitoli molto brevi, che hanno agevolato il processo di selezione della lettura.

Oltre alla multidimensionalità della trattazione, mi hanno colpito alcuni stralci sul futuro del lavoro, nient’affatto comuni nella saggistica prepandemica.

Riporto qui sotto solo alcune delle decine di sottolineature fatte.

Stiamo assistendo al “passaggio dalla società industriale che per due secoli ha trionfato con il suo macchinismo e la sua produzione di massa a una società che, delegato alle macchine il lavoro bruto, sarà sempre piú centrata sulla creatività, sull’estetica, sull’ etica, sulla qualità della vita, sulla composizione tra lavoro e vita, sulla destrutturazione del tempo e dello spazio; (…) il passaggio dalla lotta mirata esclusivamente all’equa distribuzione del plusvalore, alla lotta per la progettazione del futuro e per il trionfo del proprio progetto. E diventerà sempre piú importante, e tuttavia difficile, attenuare le distanze tra chi progetterà il futuro con cinismo verso le vittime e chi invece difenderà le vittime con miopia verso il futuro?”

“Poiché la produttività del lavoro cresce rapidamente ma l’orario di lavoro resta fisso o decresce lentamente, si creano sacche patologiche di disoccupazione e situazioni paradossali per cui il padre sgobba otto o dieci ore al giorno mentre il figlio resta completamente disoccupato”

“Il caos urbano rende i cittadini sempre piú insofferenti verso la vita metropolitana e verso gli spostamenti quotidiani che corrodono in misura ormai intollerabile il tempo libe-ro, il risparmio, l’equilibrio psichico. Appare sempre piú chiara l’inutilità del lavoro svolto nell’unità di tempo e di luogo del grande ufficio centralizzato; si diffonde l’aspira-zione verso una gestione autonoma, flessibile, soggettiva e decentrata del proprio lavoro; si prende coscienza delle opportunità sempre piú rivoluzionarie offerte dal progresso tecnologico, capace ormai di rendere ubique le informazioni e di annullare i vincoli spazio-temporali, consentendo forme molteplici di smart work e di telelavoro” (scritto nel 2018)

“Si diffonde sempre piú l’esigenza di un’organizzazione di tipo «olografico» in cui, cioè, regni la massima diffusione delle informazioni e l’overlapping tra le mansioni. La specializzazione è considerata valida solo nella misura in cui consente il lavoro interdisciplinare. Le metafore della catena di montaggio, della piramide e del cronometro cedono il passo ad altre metafore organizzative come la rete, la cellula, il cervello, l’alveare'”

“Tutte queste trasformazioni agiscono simultaneamente e sinergicamente sulla rappresentazione simbolica che un numero crescente di lavoratori va facendosi del proprio lavoro, della propria azienda, della cooperazione e del conflitto. Sulla carta esistono tutte le condizioni perché dalle aziende escano ogni sera prodotti perfetti e lavoratori felici, come sognava Simone Weil. Ma gli esseri umani sono in grado di stravolgere in danno anche le migliori invenzioni e condizioni. Cosí la riduzione di lavoro è tradotta in disoccupazione; il tempo libero è tradotto in consumismo, noia, scioperataggine, violenza; la longevità è tradotta nell’inerzia forzata del pensionamento. È possibile evitare queste degenerazioni? È possibile ricomporre il lavoro con lo studio e con il tempo libero? E possibile attuare le meravi. gliose potenzialità del sistema postindustriale?”

“Ma il problema della disoccupazione non dovrà mettere in secondo piano il problema del tempo libero dal lavoro che, nelle prospettive di un ventenne, già oggi rappresenta i sei settimi della vita che lo attende. Nella società preindustriale molto lavoro si mischiava con il tempo libero, e la socializzazione avveniva in casa, in piazza, nella bottega, nei campi, in parrocchia, nella bettola, a scuola. Pretendere oggi che il lavoro sia la fonte principale di socializzazione e di identità significa negare socializzazione e identità ai cinque sesti della popolazione mondiale: ai bambini, agli studenti, alle casalinghe, agli anziani, ai nomadi, ai disoccupati, a tutti coloro che, nel Terzo Mondo, non hanno alcuna dimestichezza con la categoria del lavoro cosí come viene inteso nel Primo Mondo. E significa fingere di non sapere che nel lavoro assai spesso non si trova identità e socializzazione ma abbrutimento, emarginazione, conflittualità, isolamento.”

“Oggi la maggioranza dei lavoratori investe nella carriera tutte le proprie energie, trascorre in ufficio gran parte della giornata, perde il gusto della vita familiare e dello svago. Nel XXI secolo sarà necessario porre mano a una grande opera di educazione dei giovani e rieducazione degli adulti work-alcolizzati affinché apprendano come conferire senso e valore al tempo libero arricchendolo di introspezione, creatività e convivialità”

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