Sottolineature – C(u)ore Business

Di amore e lavoro ho scritto molte volte (soprattutto qui https://silviazanella.com/2022/10/31/sottolineature-il-lavoro-non-ti-ama/; https://silviazanella.com/2023/03/10/sottolineature-che-cose-un-bel-lavoro/; https://silviazanella.com/2022/06/12/non-sono-felice-sul-lavoro-e-faccio-saltare-il-banco/) perché penso che sia uno degli snodi cruciali del vivere contemporaneo.

Capire qual è il mestiere che piace, quanto siamo disposti a dedicargli (non solo del nostro tempo, ma anche di noi stessi), valutare al converso una possibile distanza da quanto ci permette un sostegno economico credo siano domande importanti, in un mondo del lavoro che ci richiede sempre più attenzioni.

Per questo ho letto con piacere l’ultimo libro di Riccarda Zezza, che seguo da anni nella sua attività di imprenditrice e thought leader, nel suo approccio che coniuga apprendimento e fasi di vita, a partire da genitorialità e caregiving.

Edito da Il Sole 24 Ore, il suo “C(u)ore Business” mette fin dal titolo l’accento su quanto la dimensione personale ed emozionale possano contribuire a una maggiore realizzazione delle persone, che si traduce anche in un miglioramento delle performance, a vantaggio quindi anche dell’azienda. Per questo l’autrice incoraggia i manager a prendersi cura dei propri collaboratori (e viceversa) e coltivare ascolto, empatia e attenzione profonda nei loro confronti.

Come di consueto per la mia rubrica Sottolineature, riporto le frasi che più mi hanno colpito.

“Il lavoro ha oggi una tale intensità di presenza nella nostra vita ed è diventato così pervasivo, grazie alla tecnologia, che da tempo sperimentiamo un fenomeno di “spill over” (straripamento) tra i nostri ruoli lavorativi e quelli non lavorativi. Oppure, da un altro punto di vista, la nostra vita privata è diventata così ricca di dimensioni e di possibilità da aver invaso la nostra identità lavorativa. Oggi, per la nostra mente è difficile e costoso continuare ad aprire e chiudere porte passando da un ruolo all’altro. E così, come nervature in un tronco, le molte dimensioni che compongono la nostra identità corrono le une accanto alle altre, si avvicinano, si intrecciano, si scontrano, si uniscono”

“La sfida di fare posto “anche” alle emozioni Evitare le emozioni sul lavoro può sembrare un modo per fare meno fatica: un modo per difendersi da una dose extra di informazioni in ingresso, dall’intensità che trasportano”.

“Più strati di umanità visibili, tollerati, benvenuti, in aree tradizionalmente off limits come l’orario di lavoro e lo spazio fisico delle riunioni, hanno fornito una maggiore consapevolezza dei punti di vicinanza possibili tra la propria identità privata e quella lavorativa, e quindi hanno generato un maggiore coinvolgimento nel proprio lavoro, percepito come più “vicino. Che cosa viene a mancare? Online, dovrebbe esserci tutto quel che serve: ci vedia-mo, ci ascoltiamo, condividiamo slide.Eppure, si perdono tutti quei segnali non verbali che migliorano l’ascolto e consolidano la fiducia, facendo la differenza sull’esito dell’incontro. E non si tratta solo di efficacia, ma anche dell’energia che ha bisogno di essere prodotta nel ruolo di lavoratore per poi essere scambiata con quella prodotta negli altri ruoli, in modo che non si arrivi a esaurire il serbatoio di energia complessivo”.

“Cambiare le parole non è facile: il vocabolario è un territorio culturale cui apparteniamo in modo naturale, e che ci condiziona in molti modi. Usare termini nuovi è sempre un azzardo: richiede coraggio e disponibilità al confronto. Ma cambiare le parole è il primo modo per cambiare la realtà che alle parole viene associata, e usare la maternità come metafora della leadership vuol dire entrare con immagini inaspettate, controverse, squisitamente femminili in un territorio che è da sempre monopolio della terminologia maschile”

“La vita è entrata nel lavoro in modo nuovo e invadente, e adesso non si può spingere il pulsante rewind. Ai leader, ai manager, a chi decide, è richiesto di fare lo sforzo di vedere questo aumento di complessità come destinato a restare nel quadro e a cambiare le regole del gioco”

“I manager si trovano oggi a dover gestire quattro generazioni di correnti di pensiero spesso contraddittorie: emerse le fragilità psicologiche di molti, legittimata l’esigenza di una conciliazione vita-lavoro che comprende, ma va anche oltre, la maternità, “fa tendenza” la richiesta di fiducia sottostante all’esigenza di un lavoro almeno in parte da remoto, mentre al tempo stesso è evidente la difficoltà di far entrare pienamente nel ruolo qualcuno solo attraverso lo schermo del PC”

“Allontanandosi, volenti o nolenti, dalle dinamiche personali e relazionali dell’ufficio, le persone hanno scoperto la flessibilità e la fiducia, ma hanno anche perso, all’inizio impercettibilmente, il senso di vicinanza con quella parte preponderante della loro giornata che è la missione del loro lavoro”

“Dietro a fenomeni come le Grandi Dimissioni, l’alienazione sempre maggiore dei lavoratori e la crescita del numero dei “quiet quitters” c’è un’origine comune: l’aumento di relazioni di carattere puramente contrattuale con gli impiegati, a supplire alla mancanza di investimenti emotivi”

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