
“Quella del ‘futuro del lavoro’ sembra diventata una materia a sé, feconda di titoli e convegni (arriveranno presto anche gli scaffali dedicati nelle librerie), ma avara di progetti e investimenti. Fatto sta che il lavoro del futuro è più studiato che vissuto o – meglio ancora – plasmato”
Per la quarta puntata della mia rubrica Sottolineature, dove cerco di sistematizzare le parti che più mi hanno colpito dei testi che ho letto negli ultimi mesi*, non poteva che essere questa la prima citazione del libro “Il tuo capo è un algoritmo” di Antonio Aloisi e Valerio De Stefano. Un po’ perché ovviamente mi sento chiamata in causa direttamente, un po’ perché in effetti è la prima frase che apre il primo capitolo del loro saggio. Saggio che ho trovato ricchissimo di considerazioni interessanti sul tecnologia, lavoro e normative e che puntualizza alcuni assiomi importanti:
“Qualunque volto abbia, il cambiamento non può accadere accidentalmente; è importante che sia frutto di scelte consapevoli che rispondano a un interrogativo secco: non quanto, ma quale lavoro vogliamo”
“L’accelerazione digitale ha smantellato i cardini dell’unità aristotelica di tempi, luoghi e azioni di lavoro, contribuendo in maniera sostanziale allo scompaginamento delle coordinate aziendali classiche”
“Il lavoro non-standard ‘devia’ lungo diversi assi (tempo/spazio/protezioni) da questa forma di lavoro (subordinato, a tempo pieno, indeterminato) attorno alla quale è stata concentrata la gran parte delle tutele del diritto del lavoro”.
Tornando alla sottolineatura iniziale, non posso che concordare con gli autori. E a un anno dall’uscita del libro, direi che i tempi sono molto più maturi rispetto a soli 18 mesi fa.
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