
Se ti occupi di cultura di lavoro, leggere “Il lavoro trattato male. Dai social, dai giornali, dalla televisione, dalle aziende” di Osvaldo Danzi ti lascia un retrogusto amaro in bocca.
Una rassegna inesorabile di maltrattamenti comunicativi del lavoro, dagli annunci alle notizie in prima pagina, al clickbaiting alle aperture dei TG. Fake news, linguaggio inappropriato, mancanza di educazione sui dati di base, scarso spirito investigativo.
A differenza di altri argomenti, il lavoro è – a mio avviso clamorosamente – privo di professionisti dedicati. Agli stessi Esami di Stato per diventare giornalista professionista hai la possibilità di scegliere fra gli scritti a tema Costume e spettacolo, ma non puoi fare un commento su un trend occupazionale. Fra i pochissimi a reclamare l’originalità e la specificità del genere giornalistico lavoro, e il bisogno di sviluppare competenze peculiari, fu Walter Passerini, scomparso alcuni mesi fa.
Ma in generale, ricorda Danzi, “In Italia, i temi legati al lavoro sono appannaggio di giornali come “Il Sole
24 Ore” e “ItaliaOggi” , testate di economia – che non necessariamente significa “cultura del lavoro” – con un pubblico molto settoriale e con un approccio non propriamente divulgativo o popolare. (…) “Forbes Italia”
, “Millionaire” e “Business People” hanno obiettivi più commerciali che culturali e un pubblico molto circoscritto e autoriferito. Si sostengono prevalentemente grazie alla pubblicità, ai pubbliredazionali e alla diffusione, in alcuni casi piuttosto esigua. Trovare giornalisti esperti sui temi del lavoro, con un background che permetta approfondimenti e un livello di opinione qualificato è abbastanza raro, motivo per cui sempre più spesso le testate si affidano ai tecnici o ai professionisti perché diano testimonianze e pareri specializzati.”,
Di tutto il pamphlet, è questo il grido di dolore che più mi colpisce. Perché senza una informazione accurata, senza esperti, senza un filtro “a racconti a supporto, sempre troppo semplicistici e di parte”, si alimenta una narrativa che non solo non rispecchia la realtà, ma ha effetti devastanti:
- sul mancato orientamento dei più giovani (come possono le scuole e le famiglie capire come e dove indirizzarli?)
- sul mancato impegno della politica ad occuparsene per davvero (basti ricordare gli ultimi referendum di giugno)
- sulle mancate strategie di definizione del futuro del lavoro, a livello individuale e collettivo (su tutti, la superficialità nei dibattiti sull’AI, sul reddito universale, sul tempo libero, sullo smartworking)
Non sono d’accordo con tutte le analisi fatta da Danzi, più per questioni di forma che di sostanza. Ma al netto (o con il plus) del piglio polemico che lo contraddistingue, ha scritto un testo necessario, che trasuda tutta la sua passione per la cultura del lavoro, quella vera, che pretende un’informazione più competente, più onesta, più umana.
PS: anche se mi cita nel suo volume (sbagliando pure titolo del mio libro!), questa non è evidentemente una #adv, ma sempre meglio specificarlo
Brava! Ci vogliono più voci come la tua. Io ho sempre trovato a trovare quel’equilibrio fra sostenere il lavoro e le aziende per le quale ho lavorato e i diritti dei dipendenti. Sono convinto, più che mai, che l’azienda che investe nelle persone e a loro benessere, vincerà su tutti i fronti.
Non sono d’accordo con chi dice che il lavoro viene trattato male. Il lavoro ha sempre e avrà sempre – lo scopo di gurdagnare. Per troppo tempo, aziende piccole, medie e grandi, approfittano di chi cerca simpliciamente a contribuire e a sopravivere. Organizzazioni che assumono persone hanno una responsabilità verso queste persone… una responsabilità di garantire un lavoro dignitoso!
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