Sottolineature – Le Grandi Dimissioni

“Il nuovo rifiuto del lavoro è un fenomeno ambivalente e contraddittorio. Non è una soluzione alla deflagrazione delle nostre condizioni di lavoro e di vita, ne è un sintomo. E non è un sintomo come gli altri: è il sintomo di una rottura epocale. E il sintomo della fine dell’epoca in cui regnava la speranza che il lavoro consentisse di realizzare i nostri sogni di emancipazione, mobilità sociale e riconoscimento. In cui si pensava che il lavoro fosse parte di un sistema virtuoso che salva il mondo dalla fame e dalla povertà. Quell’epoca è finita.”

Di questa rottura parla la sociologa Francesca Coin nel suo libro “Le Grandi Dimissioni” (Einaudi), che ho avidamente sottolineato la scorsa settimana.

Un testo molto documentato che parla della crisi che sta passando il lavoro, un tempo centro di gravità della vita delle persone e ora sempre più fonte di frustrazione. Secondo l’ultimissimo Report di Gallup State of the Global Workplace, solo il 5% dei lavoratori italiani è coinvolta nel lavoro che fa – siamo i penultimi in Europa, peggio di noi fa solo Cipro.

Come sostiene Coin “La maggioranza dei lavoratori è insoddisfatta del proprio lavoro, ma non lo lascia (…) Le persone non scappano dalle aziende, ma ci sopravvivono come fosse una necessità ineludibile (…) È interessante e insieme tragico il quadro che offre il Censis. È comprensibile che la maggioranza dei lavoratori non lasci anche se è infelice (sarebbe sorprendente il contrario). Preoccupa, invece, quanto sia elevato il livello di insoddisfazione sia tra chi se ne va sia tra chi resta.

“Il rapporto del Censis dipinge una situazione assai simile a quella del Gallup Poll, fatta di lavoratrici e lavoratori con elevato tasso di insoddisfazione, in un mondo privo di opportunità. In questo quadro, il pessimo stato retributivo si affianca alle mancate gratificazioni, in un contesto sempre piú spesso precario, costellato di contratti a termine e di lavoro dequalificato. In un mercato del genere, l’assenza di un welfare universalistico e le scarse alternative fanno sí che la maggioranza degli individui si senta in gabbia, costretta a tenere il lavoro obtorto collo nonostante l’elevato livello di insofferenza. (…) Ciò di cui hanno bisogno i lavoratori è altro, si legge nel rapporto: un salario adeguato; la possibilità di pianificare turni e tempo libero; orari e reddito dignitosi e costanti

Nel suo focus sui lavori nella sanità, nella ristorazione e sull’occupazione femminile, si chiede se il problema sia una busta paga troppo leggera. Non è così, ma per certe professioni conta ed è stata alla base non solo delle tantissime dimissioni, ma anche delle crescenti difficoltà nel trovare personale disponibile:”Tutte queste problematiche non possono essere ridotte a una bassa retribuzione. Ma una bassa retribuzione non offre una contropartita sufficiente a chi cerca la motivazione per sopportarle”.

Anche per quanto riguarda le nuove generazioni, l’autrice scrive: “il denaro è un problema, ma non è certo l’unico. Anche la «significatività del lavoro» e l’ «adeguatezza della flessibilità» su questioni come il lavoro da remoto sono in primo piano. La chiave, a quanto pare, è il senso di controllo personale, sia per definire come e dove si svolge il lavoro, sia per definire come questo si allinei con i valori personali dei lavoratori. Alcuni lettori si stupiranno di questo [l’esodo dai luoghi di lavoro, ndr.]. Altri lo considereranno un fenomeno a breve termine, emerso durante la pandemia. […] Ma questa attitudine al lavoro non scomparirà presto. Neanche se c’è una recessione Per Tett, dietro le Grandi dimissioni c’è, sí, una questione economica, ma anche un radicale disallineamento valoriale.

Infine, per quanto riguarda la Gen Z, viene offerta una interessante chiave di lettura, mutuata dalla giornalista del Financial Times Gillian Tett:

“La tecnologia, il consumismo e la profilazione degli utenti negli anni hanno abituato le nuove generazioni a personalizzare tutto, «dai programmi di viaggio alla musica che ascol-tiamo», diffondendo l’abitudine a modellare le cose a nostro piacimento invece di farci adattare a un pacchetto preimpostato. Tett definisce i millennial la «generazione playlist», abituata a plasmare il mondo alle proprie esigenze, ben piú di quanto sia disposta a adattarsi a quelle altrui”.

Potrà continuare funzionare il mondo del lavoro così come l’abbiamo conosciuto?

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