Quando un lavoro ben fatto diventa anche cool, a 80 anni

Ho pochissimi oggetti del desiderio. Ma quello più longevo è senza l’altro la macchina da scrivere. L’ho desiderata tantissimo, fin da bambina, per riceverla poi in tarda adolescenza già elettronica, sostituita poi nel giro di pochissimo da un personal computer.

Ma l’amore per l’oggetto rimane, lo trovo bellissimo, esteticamente meraviglioso e funzionalmente sexy allo stesso tempo, con quei tasti sospesi su cui battere le dita, fare rumore, sentire letteralmente il prendere forma di un pensiero.

La tastiera di un pc, di un iPad, di un portatile – spiace dirlo – non avrà mai quella dimensione meccanica che – grazie al vuoto sottostante e alle stanghette metalliche – dona un piacere specifico a chi scrive (o almeno, a me).

Qualche giorno fa sono stata ospite a Ivrea al convegno Innovability Land, dove ho ritrovato persone che stimo e con cui mi piace stare e confrontarmi, e ho avuto modo di parlare di lavoro come chiave di sostenibilità per le persone, le aziende, la società.

L’ho fatto dentro a una ex Officina Olivetti, e parlare di quei temi in quel posto preciso non ha potuto che riempirmi di emozioni (oltre che di una qualche forma di sindrome dell’impostore, naturalmente, ma questa è un’altra storia).

Al di là dell’evento, ci è stata offerta la possibilità di una visita guidata ai luoghi olivettiani, e due sono le cose che più mi hanno colpito.

La prima è che – in maniera molto simile alla mia città di origine – anche a Ivrea si è costruita una città attorno a un’industria familiare, e si sono strutturati tutta una serie di servizi a favore del cittadino / lavoratore, in contesti architettonici di rara bellezza e avanguardia.

Mensa in cui venivano a fare spettacoli De Sica o altre star dell’epoca, emeroteca e libreria vastissime, servizi sanitari gratuiti, case e appartamenti a disposizione di operai e dirigenti. E se a Schio (mia città natale) Alessandro Rossi aveva dotato ogni abitazione di un piccolo orto per tutti coloro che erano scesi dalle montagne e avevano abbandonato lavori agricoli, Adriano Olivetti dava ferie e permessi a seconda della stagione della vendemmia, occupazione principale delle persone del luogo prima di iniziare la vita in fabbrica.

L’intento di Olivetti è noto e straordinariamente anticipatore di quello che oggi si chiama welfare aziendale, con stipendi più alti della media anche del 50%, oltre alla volontà di elevare culturalmente i lavoratori e creare comunità.

La seconda cosa che colpisce è la spasmodica ricerca del bello e dello Smart ante litteram. Io – si è capito – sono sensibile alle linee dei loro prodotti, ai colori, alle forme, che trovo totalmente contemporanee. Non è un caso che non si producano più macchine da scrivere o di calcolatori, ma che il brand e il merchandising di cose di 80 anni fa siano invece più cool di tanta altra merce odierna.

Sono cool perché portano la memoria di una dichiarata ricerca di innovazione ed estetica? Sono cool perché è palese il disegno imprenditoriale che c’era dietro? Sono cool perché raccontano modelli di leadership molto rari, pur a distanza di decenni? Sono cool perché chi li ha pensati, progettati, e infine prodotti condivideva il progetto culturale della proprietà? Forse tutte queste cose assieme.

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