Andare alla fonte

Ogni singola volta che vado al nostro ufficio in EY a Roma, zona Via Veneto, mi scatta in automatico un ricordo.

Quello di quando, erano i primi mesi del 2001, mi trovavo in stage alla neonata RaiNews24 e mi occupavo di selezionare i lanci di agenzia da rimandare al TG di canale e al sito.

Non c’era ancora stato l’11 settembre ma gli Stati Uniti erano già, periodicamente, sotto attacco. In particolare in quei giorni l’Ambasciata romana, all’angolo di Via Veneto appunto, era chiusa per motivi di sicurezza che non lasciavano presagire nulla di buono.

Dalle agenzie di stampa non si capiva molto, le notizie si rincorrevano contraddittorie, online giravano versioni di ogni tipo.

Io sono in turno dalle 6 del mattino e non ne vengo a capo. Finché alle 8.30 spaccate il caporedattore mi guarda e, banalmente, mi dice: “Chiama”.

Neanche due squilli dal telefono fisso della redazione e dalla sede dell’Ambasciata mi dicono che avevano appena riaperto e che le attività sarebbero riprese regolarmente da quel momento.

Ero stata per due ore a cercare di ricostruire i fatti quando bastava andare alla fonte. La cosa era talmente ovvia che quasi mi vergognavo.

Tanto scontata però non doveva essere se Adnkronos o Ansa ancora non avevano battuto la notizia che gli uffici americani a Roma avevano riaperto.

Era la scoperta dell’acqua calda che più calda non si può. L’ovvietà assoluta. La cosa più logica da fare.

Eppure anche nella vita in azienda di quante dietrologie, paranoie, illazioni ci nutriamo tutti i giorni allambiccandoci dietro una mail o per una informazione che non abbiamo? Quando basterebbe letteralmente parlare con le persone, andare alla fonte.

Ci penso tutte le volte che ci passo di fronte, provo a pensarci tutte le volte che la pigrizia o la paura del confronto rischiano di prendere il sopravvento nelle relazioni umane o professionali. Andare alla fonte, ascoltare, sentire il punto di vista dell’altro.

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