Sottolineature – Un mondo senza lavoro

Quello di Daniel Susskind, “Un mondo senza lavoro” è il più bel libro di lavoro che ho letto quest’anno. Pubblicato da Bompiani e uscito in Italia in primavera, è stato scritto prima della pandemia e successivamente integrato. La gran parte del testo racconta come le previsioni di apocalissi occupazionali dovute alla tecnologia siano sì possibili, ma solo nel lungo periodo e non per tutti.

Quel che pare certo è che nei prossimi decenni ci sarà sempre meno lavoro: in sintesi, e questo comporterà una serie di problemi. Di diseguaglianze, di acquisizione delle competenze, di capacità del sistema economico di reggere.

Ma dove il libro si fa ancora più interessante è nei suoi capitolo conclusivi, di cui riporto le sottolineature per me maggiormente significative.

“La sfida ultima che affronteremo in un mondo con meno lavoro risiede, a mio avviso, nel trovare significato nella vita. Si dice spesso che il lavoro non sia semplicemente una fonte di reddito, ma anche una fonte di motivazione. Se l’occupazione si esaurisce, da dove verrà allora questa sensazione di avere una direzione?”

Con la pandemia “ si è sviluppato anche un inconsueto dibattito pubblico su questioni più rilevanti: l’equilibrio tra lavoro e vita, il valore di famiglia e comunità, i pregi della vita di città, il modo in cui passare al meglio il tempo
nell’ozio, il modo in cui tutelare la nostra salute mentale in tempi duri. (…) Il fatto che questo dibattito sembri così nuovo e che le conclusioni possano talvolta apparire tanto provvisorie e insoddisfacenti rafforza la mia impressione che la natura totalizzante delle nostre tradizionali vite lavorative ci abbia finora distratti da tali grosse questioni”.

“In un certo senso, la pandemia ha rappresentato una sorta di test sperimentale di come dovremmo reagire al cospetto di un mondo con meno lavoro. Questo esercizio non è stato né pianificato né voluto, ma si è dimostrato istruttivo e rivelatore. Spero che nei mesi e negli anni a venire saremo capaci di riflettere su questo vasto esperimento sociale, di capire cosa abbia funzionato nel rispondere alla crisi e di essere onesti
su dove non ci siamo dimostrati all’altezza. Al momento, siamo solo visitatori temporanei in un mondo con meno lavoro”.

“In un mondo con meno lavoro, affronteremo un problema che ha ben poco a che fare con l’economia: come trovare un significato nella vita nel momento in cui ciò che maggiormente lo garantisce scompare”.

“Si possono individuare, quindi, due visioni molto diverse del rapporto tra lavoro e senso esistenziale. Alcuni immaginano che ci sia un’importante connessione tra l’uno e l’altro, e vedono il lavoro non soltanto come un modo per distribuire il reddito nella società, ma anche per condividere il senso. Leggendo i resoconti sui
bull-shit jobs e il lavoro deprimente, è probabile che abbiano l’istintiva sensazione che le cose non debbano stare così, che con i giusti cambiamenti anche un’occupazione sgradevole potrebbe essere appagante. Altri invece hanno la propensione opposta: mettono in dubbio qualsiasi legame tra lavoro e senso ed è probabile che vedano ogni infelicità o disillusione connessa al lavoro come una conferma delle loro convinzioni”.

Scriverò ancora di questo libro, sto maturando muove riflessione che però non riesco ancora a tradurre su carta. Ma consiglio a tutti voi di leggerlo, per aprire nuove prospettive e angolazioni da cui guardare il futuro del lavoro.

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