È questo rischio che mi fa dire ancora una volta che è urgente smettere di parlare di futuro del lavoro. Banalmente perché quel futuro è già qui. L’intelligenza artificiale e le tecnologie esponenziali sono già all’opera, lo abbiamo visto in un post precedente. Penso sia pericoloso continuare a riferirci a qualcosa di esoterico quando invece è molto concreto e già disponibile. Non ci fa concentrare sui problemi che sono dietro l’angolo e non ci permette di leggere la realtà con le giuste categorie.
Pensiamo a come è cambiata la nostra vita con i dati e gli algoritmi. A quanto le nostre scelte di tutti i giorni sono basati sui risultati di un motore di ricerca o su quello che ci appare “automaticamente” sul nostro feed, a seconda delle preferenze dimostrate in precedenza. A quanto sono più rapide alcune transazioni e alcuni processi decisionali. A quanto sia forte l’ideologia del (poter) misurare tutto. Se impatta così tanto la nostra vita individuale, riflettiamo un momento su quali conseguenze ci possono essere sulla sfera professionale. Anche in questo caso, il futuro del lavoro è adesso: i dati stanno pesantemente influenzando il modo in cui lavoriamo e in cui funzionano gli uffici HR.
In Silicon Valley c’è molto movimento al riguardo. LinkedIn ha appena lanciato ufficialmente il suo Talent Insights, che permette di visualizzare in tempo reale i movimenti del mercato del lavoro, tanto a livello settoriale o geografico, quanto per singola azienda e individuo. A seguito dell’acquisizione da parte di Microsoft, stanno diventando sempre più visibili le integrazioni tra Office 365 e la piattaforma di business networking. Che succede (già oggi) se inizi a scrivere il tuo curriculum in Word, in alcuni Paesi? Che il sistema legge i tuoi dati e sulla base di quelli di LinkedIn ti dà suggerimenti su cosa è meglio concentrarsi.
Tra le diverse possibilità soffermiamoci sulle soluzioni predittive, basate su un’enorme mole di dati elaborati in precedenza. L’Intelligenza Artificiale supportata dai big data potrebbe ad esempio contribuire a processi di selezione meno discriminanti, secondo alcuni osservatori. Se però quei dati contenevano in nuce un bias, questo non potrà che essere replicato su larga scala. Come quando si è scoperto che l’algoritmo di Google proponeva agli uomini opportunità professionali migliori rispetto alle donne. Stessa accusa rivolta a Facebook di recente. Non è un caso se Google ha annunciato quest’estate che il recruiting sarà l’area in cui concentreranno i loro sforzi per rendere più efficace il matching tra domanda e offerta di impiego, a livello mondiale. E neppure che Facebook abbia appena rilasciato nuove funzionalità nella sua sezione Jobs.
In sintesi, 3 su 5 big five della tecnologia stanno già puntando su questo settore. Uber ha da poco annunciato Uber Work. Per non parlare dell’esplosione dell’HR tech, che ha scatenato negli ultimi tempi investimenti massivi. Quali saranno le conseguenze per chi cerca lavoro? Sarà necessario avere fortissime competenze informatiche anche solo per accedere alle posizioni vacanti? E a un livello più ampio, per i player “tradizionali”? I recruiter dovranno padroneggiare tecniche di SEO per raggiungere i candidati? (La risposta è sì, già adesso. Se non si conoscono bene gli strumenti e le piattaforme di social networking c’è il rischio di restare tagliati fuori dal mercato del lavoro? La risposta è assolutamente sì, ci ho dedicato un libro assieme ad Anna Martini, Social Recruiter, e a 18 mesi dalla sua uscita siamo già ampiamente oltre le previsioni annunciate.
Ma non si tratta solo di incontro domanda/offerta di lavoro. I big data riguardano tutta la cosiddetta employee experience, non solo il recruiting/jobseeking. Gli HR analytics come modificheranno missione e attività degli uffici HR? Potenzialmente, mettendo a sistema una serie di informazioni, già da qualche tempo è possibile predire quando una persona lascerà l’azienda. Come gestire questo dato? Come intervenire per modificare nel caso il corso degli eventi? È lecito farlo?
E in termini di performance, dopo il quantified self, sarà l’ora del quantified worker? E se tutto è tracciabile, che risvolti ci sono in termini di privacy, di diritti e – alla fine – di libertà, come persona e come lavoratore? Lo ha ben raccontato la BBC in questo video.
Di nuovo, non ho risposte a queste domande. Però penso che sia fondamentale iniziare a ragionare su questi argomenti, viste le conseguenze che possono avere sulle nostre vite private e professionali. Non si tratta di fare dietrologie alla Matrix. Semplicemente, di prendere consapevolezza che non si sta parlando di science fiction ma di attualità. Basta parlare di futuro del lavoro.
#FutureOfWorkIsNow
Foto di copertina tratta da https://giphy.com
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