Scissione, la miglior serie TV sul lavoro

Severance – Scissione è la miglior cosa di lavoro che mi è capitata di vedere in TV.

Eppure:

Premessa 1: odio le serie TV. E questa mi ha letteralmente rapita.

Premessa 2: salvo rare eccezioni, sono estremamente critica rispetto alle opere cinematografiche dedicate al lavoro. E questa ha un grado sorprendente di complessità e precisione di significato in ogni singola inquadratura o battuta.

Premessa 3: sto da tempo ragionando sui temi del work life balance, e credo sia difficile immaginare un modo più originale e contemporaneo di raccontarlo.

La trama in breve

Ma di cosa parla Severance (scissione, ma anche licenziamento, distaccamento), la serie diretta dall’altrimenti comico Ben Stiller?

In estrema sintesi, si tratta di un thriller distopico ambientato in un ufficio i cui dipendenti sono stati sottoposti a una operazione chirurgica grazie alla quale la loro vita professionale è completamente distaccata da quella privata. Nell’anticamera degli spogliatoi ci sj separa fisicamente dai propri beni della vita “di fuori”: ma è nel punto di soglia dell’ascensore che si attiva il chip di scissione iniettato nel cranio, così che all’arrivo al piano si è completamente dissociati dal proprio “io esterno”.

I dipendenti della Lumon Industries (questo il nome dell’azienda, la trovate anche su LinkedIn e la cosa mi ha molto divertito) non sanno – letteralmente – di cosa si occupano, sono motivati da benefit che nella sostanza sono ridicoli, hanno dinamiche relazionali tra il disinteressato e il finto appassionato, ma al tempo stesso avvertono un senso di appartenenza e di colleganza che non vogliono e non possono reprimere, obnubilati dalla retorica del “siamo una grande famiglia.” Suona familiare?

Il loro tran tran, solo apparentemente innocuo, viene turbato dalla scomparsa di uno dei 4 dipendenti del reparto MDR, il più strategico (?) della società, sostituito da una giovane donna determinata a non restare un minuto di più in quella che pare a tutti gli effetti una prigione emotiva e cognitiva. Scatta quindi un moto di ribellione da parte di tutto il team, con esiti del tutto inattesi.

Aspetti formali

Più che una serie TV, Severance sembra una piéce teatrale targata Apple; è infatti disponibile solo su questa piattaforma streaming.

Iper minimalista, con pochissimi personaggi altamente connotati e dialoghi in cui ogni battuta ha un senso e molteplici letture assieme (anche nella versione tradotta, oltre che in quella originale).

Gli ambienti e le musiche rendono ancora più claustrofobica la visione, con immensi corridoi bianchi, open space dalla moquette verde, zero finestre, un inquietante museo aziendale.

Ritmi lenti, che provocano sonnolenza. Ritmi soprattutto anestetizzanti.

Di cosa parla veramente Severance

Severance parla di lavoro attraverso una visione raffinata ed estremamente contemporanea.

Parla di bullshit jobs in maniera più chiara e pregnante di quanto non abbia fatto Graeber (non me ne vogliate).

Parla degli infiniti modi in cui possa essere tossico un ambiente di lavoro – anche senza essere sottoposti a una procedura scientifica di scissione della memoria.

Parla soprattutto di quanto sia importante, difficile, necessario, impossibile, desiderabile, esecrabile mantenere distinte la dimensione privata da quella professionale.

Parla delle differenze e delle affinità fra sé, motivazioni, competenze, bisogni, sogni, ambizioni, conflitti di natura individuale o lavorativa.

Parla di invasione e di integrazione, di bilanciamento e di disequilibrio, di confini e sconfinamenti.

Parla di “non portarsi il lavoro a casa”, di “lasciare a casa i problemi”, di team building o di reward ridicoli e offensivi per l’intelligenza delle persone, di bullismo manageriale, di violenza professionale, di wellbeing farlocco.

Trovo sia stata una fortuna che, pur scritta pre pandemia, la serie sia stata poi effettivamente prodotta e messa in onda nel 2022, perché ancora più calzante rispetto ai tempi che stiamo vivendo.

Guardatela, è una serie bellissima.

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