I primi due weekend di luglio ho dormito. Letteralmente, praticamente tutto il tempo. Di notte, di mattina, dopo pranzo.
Stravolta dal caldo, con la pressione sotto i piedi, ma anche stanchissima per questa prima parte dell’anno così intensa e piena di cose da fare, sul lavoro e fuori.
Ma come fai a fare tutto?
Mi capita che mi venga chiesto spesso, specie quando incontro persone che non vedo da un po’. E la risposta ha due facce. La prima è che – semplicemente – non faccio tutto. Molto, moltissimo è quello che lascio fuori e che con un percorso non banale provo sempre più a delegare. In primis, cura della casa e logistica famigliare, ma anche organizzazione di cose che prima mi piaceva organizzare da sola. Perché se c’è una cosa che ho imparato è che il vaso trabocca anche solo di piccole gocce, e persino se quelle gocce le mettiamo noi, e per di più volentieri. Quindi, anche delle attività che mi piacciono, seleziono quali fare in prima persona. E, appena posso, dormo.
La seconda faccia della risposta prevede in realtà una trasformazione della domanda.
Dal “come fai a fare tutto?” a “Perché fai quello che fai”.
Ovvero: Coniugare un lavoro impegnativo e ad alta intensità con un’attenzione e una presenza forte in famiglia, ma trovando anche il tempo per fare altro.
A febbraio è uscito il mio sesto libro, Basta lavorare così (Bompiani), dopo una gestazione di oltre tre anni. Ogni ritaglio di tempo è stato dedicato a studiare, a scrivere, a raccogliere testimonianze. E dall’uscita è stato un susseguirsi di incontri, interviste ed eventi che mi hanno riempito di orgoglio… e di sonno.
Li rivivo scorrendo la galleria delle foto ed è subito chiara la risposta del perché faccio quello che faccio. Tanto nel lavoro quotidiano quanto in quello editoriale, compresa la collana Voci del lavoro nuovo che dirigo per FrancoAngeli, rivedo il motivo ultimo.
Impegnarsi nella diffusione del buon lavoro è il mio modo di essere una cittadina.
Niente a che fare con partiti o ideologie, la questione è infinitamente più semplice. Se Vivere è un atto politico, come diceva Michela Murgia, allora io credo che chi ha il potere, nel proprio piccolo, di migliorare la vita degli altri abbia l’assoluto dovere di farlo. Nel mio caso, si tratta di promuovere ambienti di lavoro più sani, stili di leadership più sostenibili, ascolto delle persone.
Commentando uno speech che ho fatto a fine maggio una persona mi ha scritto dicendomi che le era sembrato di stare dentro a un fumetto. Uno dei complimenti più belli mai ricevuti. Mettere insieme sostanza di ragionamento con leggerezza formale è l’obiettivo che mi pongo ogni giorno.
Faccio quello che faccio perché è il mio modo di essere una cittadina, e perché mi diverto.
E appena posso, dormo.
























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