Un anno fa moriva Vitaliano Trevisan, scrittore controverso ma a suo modo geniale, che nel suo libro Works aveva raccontato in maniera struggente e ambigua la sua biografia professionale.
Durante le vacanze ho letto la sua opera postuma, Black Tulips, e anche qua si ritrova una splendida riflessione sul pensarsi in prospettiva, in ottica passata o futura, presunta conditio sine qua non per immaginare un percorso di carriera. Trovo che siano parole bellissime, e le riporto in questa rubrica di Sottolineature:
“Cammino, come gli antichi, con lo sguardo rivolto al passato. Questo da sempre, anche se, del tutto scientemente non è poi molto. Ma è un fatto che il futuro non ho mai saputo né vederlo né ritrovarlo. Non sono mai riuscito vedere me stesso nel futuro, per esempio, cosa che spiega in buona parte, la mia incapacità a pensare in termini carriera, causa prima della mia travagliata vita lavorativa – travagliata vita lavorativa non è male; e non sono mai riuscito nemmeno a studiare la Storia, né altra storia particolare che si informasse al metodo cronologico, altra fonte di infiniti problemi. La verità, se per verità si può intendere la causa prima di tutti questi problemi infiniti, è che non sono mai stato in grado di pensare in prospettiva, come si dice, né verso il futuro né verso il passato, e meno ancora sono stato (e sono) in grado di pensare me stesso in prospettiva.
Strano, perché so benissimo come mettere qualcosa in prospettiva, anzi direi che, essendo stato un disegnatore tecnico professionista, ero un vero esperto di come si esegue una prospettiva; secondo il sistema dei raggi ottici, per esempio, oppure quello dei punti misuratori; e, a seconda dei casi, sapevo quando era meglio l’uno e quando l’altro; e tutte le specificità e le problematiche legate alla prospettiva, tra le più complesse nell’ambito della scienza del disegno tecnico”.
“ (…) io ero un esperto, e della prospettiva sapevo tutto. Allora perché disegnare una prospettiva, anche non particolarmente complessa, mi faceva sempre venire mal di testa? Così come, del resto, mi ha sempre fatto male alla testa sforzarmi di pensare in prospettiva; è se per un lungo periodo mi sono ostinato nello sforzo di pensarmi in prospettiva, con conseguenze disastrose, per me stesso e per gli altri, in tutti gli ambiti della mia prima vita, era perché, come più o meno tutti, ero costretto a pensare tutto, e in particolare me stesso, in prospettiva. A pensarci bene, è un tormento che inizia, per tutti, molto presto, nel momento esatto in cui un adulto ci chiede: Cosa farai da grande? E io infatti risposi: Lo scrittore, professione che, visto il contesto sociale in cui mi ero ritrovato a nascere, non offriva, perlomeno all’epoca, alcuna prospettiva; e non avendola io avuta in partenza, e continuato a non averne avuta in corso d’opera, non mi è possibile, ora, ricostruirla nel passato. Il bambino che, alla domanda, Cosa farai da grande, risponde, Lo scrittore, non è in rapporto prospettico con lo scrittore in cui, gli piaccia oppure no, si è effettivamente evoluto ed è. Le modalità con le quali il soggetto si è mosso, nel tempo e nello spazio, nel suo ambiente e fuori di esso, o meglio nei suoi vari ambienti, e fuori di essi, sono sempre state dettate dalle contingenze, le quali, dovendo moltissimo al caso, non permettono di rendere il suo percorso in metafora prospettica.
In definitiva, che io guardi in avanti o indietro, sono stato, resto, sarò e sarò stato un uomo privo di qualsivoglia prospettiva.”
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