Mi capita spesso che mi chiedano come sarà il lavoro del futuro. La verità è che non lo so, e penso che sia veramente difficile, anche solo con un minimo di onestà intellettuale, poterlo predire con certezza.
Si possono però individuare delle tendenze, provare a rintracciare dei segnali. Alcuni di essi, in queste ultime settimane, mi sono apparsi più chiari di altri e proverò a riassumerli qui.
Ho avuto il privilegio di prendere parte a molte iniziative e ciascuna mi ha restituito una suggestione, qualcosa che potrebbe aiutare a capire il mondo del lavoro che verrà.
A Londra ho partecipato al Talent Intelligence Summit, incontro annuale europeo di LinkedIn dedicato alle società di selezione. Quest’anno le parole chiave erano insights e instincts. Come a dire, per quanto dati riusciremo a elaborare, per quanta intelligenza artificiale entrerà negli uffici del personale, per quanta automazione reinventerà i processi produttivi, ci sarà ben poco di rivoluzionario nelle risorse umane se non interverranno anche competenze umane specifiche. Quali l’intuito, la creatività, l’estro nel trovare soluzioni originali. Personalmente non mi è chiaro se sarà così nel lungo termine, di certo ne vedo già alcuni effetti sul breve.
Sempre nella capitale inglese ho passato qualche giorno negli uffici di LinkedIn UK e di WeWork, rete internazionale di coworking. Spazi totalmente destrutturati, brulicanti di vita. Come dice una mia cara amica, privi di quelle “dinamiche tipicamente aziendali di fazioni opposte di ufficio, di gossip alla macchinetta del caffè”. La socialità è lasciata all’individuo o ai piccoli gruppi che lavorano in questi contesti, con due conseguenze a mio avviso rilevanti. Da un lato la contaminazione con persone che si occupano di cose del tutto diverse dalle tue e la ricchezza che ne può derivare. Dall’altro, un ulteriore carico per chi lavora da solo, che ha anche l’onere di intrecciare relazioni non formalizzate, prive delle ritualità consolidate.
Sono poi intervenuta all’iniziativa Nuvola Rosa di Microsoft, con un lungo incontro con circa sessanta studenti di terza e quarta di un istituto tecnico. Tema: usare i social network anche in ottica professionale. Istituti di eccellenza, ragazzi in gamba. Eppure, in grande difficoltà a capire le conseguenze delle loro azioni online sulla loro “vita reale”. Un problema non solo loro, naturalmente. Ma parlando dei processi di selezione, come la mettiamo con generazioni di colleghi contraddistinte da digital divide abnormi?
Infine, abbiamo da poco lanciato la nostra ricerca sulla Flexible Workforce, in collaborazione con LinkedIn. In sostanza, ci siamo chiesti quale sia il presente e il futuro di chi non rientra nelle forme lavorative tradizionali. Trattandosi di uno studio di portata globale, è facile immaginare tutte le complessità del caso, a partire da quelle terminologiche – si pensi solo a parole come contractor, associate, freelance, entrepreneur. Ne è venuto fuori un ritratto a mio avviso molto interessante, il primo così completo e sfaccettato. Tante le sfide per queste figure, com’è chiaro che sia. Tante le responsabilità per chi, a tutti i livelli, si occupa di mercato del lavoro, che sia sul piano politico, accademico, istituzionale o di business. Di certo, il progetto più bello che ho coordinato quest’anno e che fa intravedere un pezzetto di quello che sarà il futuro del lavoro.
Se volete saperne di più o dirmi la vostra scrivetemi!
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